Oggi un post un po’ diverso. Vorrei fare una riflessione sull’insostenibilità della nostra filiera alimentare, incentrandomi sul lato vegetale.

Attualmente sono avvenute quattro rivoluzioni agricole che hanno cambiato profondamente il modo in cui l’uomo si approccia a ciò che mangia:

  1. nella prima, avvenuta nel 10.000 a.C. circa, è nata l’agricoltura stanziale, e con essa l’allevamento di bestiame, che hanno permesso la nascita dei primi villaggi e della civiltà sedentaria;
  2. nella seconda rivoluzione, avvenuta nel corso del XIX secolo, si implementarono nuove macchine agricole e l’aumento della produttività, con conseguente crescita demografica, tramite l’uso degli “enclosures”, recinzioni;
  3. la terza rivoluzione agricola, che inizia nel XX secolo, è caratterizzata dall’uso di fertilizzanti chimici, pesticidi e in generale dell’approccio alla chimica. Il risultato di questa rivoluzione è stato un boom demografico;
  4. nella quarta, e più recente, rivoluzione, ancora in corso, stiamo assistendo a una nuova era dell’agricoltura e dell’alimentazione, un’era incentrata sulla tecnologia e ingegneria genetica, che punta ad ottenere una massimizzazione dei risultati, nell’ottica di una curva demografica impazzita.

Oggi vorrei incentrarmi sulla 3° e sulla 4° rivoluzione agricola.

Se consideriamo che solo un secolo fa, la popolazione mondiale era di 1 miliardo e 1/2 di abitanti, e oggi siamo arrivati a più di 8 miliardi, e consideriamo che solo un secolo fa l’uomo ha iniziato ad usare fertilizzanti chimici in agricoltura, iniziamo a comprendere come questi due dati vadano di pari passo.

Mai come in questo momento, c’è stata la necessità di sfamare tante persone sulla faccia della Terra, e mai come in questo momento, si è fatto ricorso alla chimica per raggiungere questo obiettivo, ma ciò comporta anche un’altra faccia della medaglia, una faccia ahimè più triste. Ogni anno vengono usati circa 120 milioni di tonnellate tra pesticidi e fertilizzanti chimici, nel 2019 il costo di questi ha raggiunto i 84,5 miliardi di dollari, ma solo il 20% di questi finisce nel suolo. Si stima che il 35% di questi finisca in mare, e che la restante parte contribuisca a inquinare falde acquifere e all’emissione di gas serra.

Ma se da una parte parliamo del danno che questi causino all’ambiente, dall’altra distruggono la biodiversità (alcuni studi parlano della presenza di 9 volte inferiore di api in campi trattati con l’uso di pesticidi e diserbanti) e alterano la produttività del terreno e delle piante, pesando sul ciclo biologico delle piante.

Altro punto molto importante da considerare è l’ignoranza. Se da una parte, l’industria agricola non è mai stata tanto controllata e tecnologica, dall’altra non conosciamo ancora pienamente gli effetti di questi pesticidi e la legislazione non ne limita ancora in modo chiaro l’uso.

Con l’avvento della 4° rivoluzione agricola, e dell’ingegneria genetica, ci siamo messi davanti a una decisione: l’aumento della produttività, contro il ritmo della natura, o lo stare al passo della natura ma non riuscendo a stare al passo della domanda sempre più crescente della popolazione. Naturalmente la decisione è stata quella di aumentare in maniera esponenziale la produttività, ma venendo meno alla perfezione della natura creando una perfezione “umana”.

Con questo articolo non voglio assolutamente sostenere che sia bene tornare all’agricoltura di un secolo fa, anzi, sarebbe insostenibile e poco sensato farlo, ma voglio dire che credo sia sbagliato andare contro la perfezione della natura e alterarne i ritmi di produzione.

In questo campo, entrano in gioco numerose nuove tecniche di coltivazione, che puntano a una massimizzazione dei risultati con una minima impronta ecologica, come l’idroponica, o altri sistemi innovativi.

Ma mentre ci troviamo in questa condizione di limbo eterno, non sapendo da che parte stare, mi affido alla sacra e importantissima consapevolezza umana.

Viviamo in una società che punta alla massima resa nel minor tempo possibile, dove lo sviluppo e la crescita sono esponenziali, ma ciò nonostante mentre stiamo vivendo una rivoluzione, la nostra casa, la nostra – ed unica – Terra, sembra non essere pronta a ciò.

Se da una parte parliamo di come sia insostenibile il modo in cui coltiviamo ciò che mangiamo, dall’altra parte, dobbiamo parlare di quanto arriva sulle nostre tavole. Sì, infatti non tutto di quello che coltiviamo arriva sulle nostre tavole. Si stima che in una stagione instabile a livello atmosferico, si può arrivare a eliminare fino al 70% dei frutti da un singolo albero. Questo solo perché un frutto è più piccolo di un determinato standard o solo perché presenta un’ammaccatura.

Alcune realtà come Belladentro, e molte altre, nascono proprio per far conoscere alle persone questi numeri e sensibilizzare a ridurre gli sprechi.

Ma gli sprechi sono dovuti anche a una richiesta da parte dei consumatori sbagliata, in quanto prediligiamo frutti esotici a frutta e verdura locale, e a un poco efficiente sistema di trasporto, molto impattante anche dal punto di vista ecologico.

Quindi, se da una parte il problema andrebbe risolto a monte, forse dovremmo prestare più attenzione alla filiera di ciò che mangiamo, cambiando il mondo nel nostro piccolo.



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Una replica a “Coltivati con un bel po’ di amore… e chimica”

  1. Avatar serene4923d9d080
    serene4923d9d080

    Grazie per avermi aperto al mondo di “Bella Dentro”. Non conoscevo questa realtà! Molto nteressante. anna maria

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